I fondamenti dell'antropologia

“Come ha insegnato Benedetto XVI, oggi la questione antropologica è la prima questione sociale. Chi sbaglia antropologia sbaglia politica, e chi distrugge la famiglia, distrugge il Paese” (Massimo Introvigne). Ritengo vera questa considerazione e perciò è necessario tornare a studiare l’antropologia che in passato ha guidato l’occidente al suo successo sul resto del mondo, sostituita da una antropologia aggressiva, caratterizzata da scientismo saccente favorito dalla padronanza dei media. Una crescente perplessità paralizza l’antropologia classica, sostituita da soluzioni che appaiono devastanti.

 

È stupefacente ciò che avviene ai nostri giorni. Una minoranza sparuta, certamente fornita di capitali da investire, è riuscita nel giro di pochi anni ad aggirare il senso comune della gente affermando che il sesso non determina l’appartenenza a un genere stabile; perciò non esistono funzioni propriamente maschili e femminili: il sesso deve essere il risultato del piacere che ognuno prova dall’appartenervi, dopo una scelta libera e ragionata. Perciò il sesso è frutto di una scelta individuale, non imposto dalla natura o dalla società; anche il travestimento non è una trasgressione accettabile solamente in tempo di carnevale; la famiglia non è l’unione stabile di un uomo con una donna nella prospettiva di avere figli secondo i metodi naturali. Per famiglia si deve intendere ogni decisione dettata dalla mutevolezza dei sentimenti; i figli compaiono se si vogliono, qualunque sia il modo scelto per ottenerli, in attesa che i bambini possano essere allevati in opportune matrici artificiali, provenendo da ovuli e spermatozoi controllati per dar luogo alla combinazione preferita da coloro che ne avranno cura: non possono rimanere delusi da prodotti non conformi ai desideri espressi. Concetti come quello di legge naturale vengono considerati dottrine vagamente cattoliche che non devono esercitare alcun condizionamento sui risultati della biologia, perché ciò che è tecnicamente possibile deve diventare automaticamente anche lecito. Infatti, la scienza ci ha liberati da schiavitù legate al sottosviluppo. Ora esiste la fecondazione in vitro, la maternità surrogata da apposite fattrici che potranno accumulare guadagni da impiegare per il proprio riscatto economico. La selezione impedirà la vita di individui mal riusciti con beneficio per tutti. Gli anziani non autosufficienti, e perciò incapaci di godere una vita di qualità, saranno eliminati con risparmi enormi per i sistemi previdenziali che si trovano in crisi e per i parenti che non possono mantenerli. Il piacere individuale è l’unico movente della persona e il legislatore deve approntare gli strumenti opportuni per garantire la soddisfazione dei desideri di ciascuno. La legge esiste per prendere atto e garantire l’esercizio delle necessità individuali. Non esiste un dover essere se non coincide col sentimento, l’unica guida del comportamento individuale, che non tollera l’etero-direzione esercitata da fedi religiose o da idee ereditate dal passato, prive di valore nel luminoso presente dominato dagli sviluppi delle scienze biologiche.

Queste posizioni che sembrano dominanti, almeno secondo certe agenzie che hanno scelto questi orientamenti, mettono tra parentesi e cercano di eclissare il fatto che il mondo occidentale ha avuto la fortuna di ereditare la visione razionale espressa dal mondo greco che ha elaborato la tradizione filosofica più solida, con la possibilità di costruire una visione del mondo basato sulla scienza e non sul mito, con un’arte che ha giudicato la figura umana come canone della bellezza. Il mondo greco, a sua volta, è stato conquistato dal mondo romano che si è posto subito alla scuola della paideia greca, accettando la sua superiorità e dandole un respiro mondiale (la lingua latina ha operato da veicolo della sapienza greca), aggiungendo di suo una scienza della politica molto superiore alla concezione greca di cittadinanza e una tecnica giuridica basata sulla certezza che in natura tutto si sviluppa obbedendo a una legge costitutiva delle cose e che le orienta al loro fine.

A sua volta, il mondo greco-romano si è incontrato col cristianesimo quando ha scoperto che l’antropologia ebraico-cristiana completava i valori classici, innalzandoli al livello soprannaturale. Tuttavia l’Impero romano subì in occidente il predominio delle popolazioni germaniche, mentre in oriente sopravvisse per un altro millennio, prima di soccombere alla crescente pressione dei Turchi, che nel 1453 conquistarono Costantinopoli.

Nel corso dell’alto medioevo, nell’Europa occidentale avvenne l’inserimento delle popolazioni germaniche nella cristianità. Le popolazioni germaniche fornirono l’apporto del loro acuto senso dell’individualità e della libertà. Il potere politico non si identificò col potere religioso: l’imperatore era solamente un primus inter pares e la società era tendenzialmente democratica, con un potere che derivava da Dio per difendere gli uomini dai peggiori abusi. Il lungo conflitto tra papato e impero, che va sotto il nome di lotta per le investiture, favorì la crescita di una concezione laica del potere, nel senso che il re non aveva il diritto di nominare i vertici ecclesiastici, perché doveva rimanere un potere laico e non sacrale (dalla doppia obbedienza del fedele a Stato e Chiesa discende la libertà del cittadino, suddito del re, ma prima ancora di Dio, con primato della coscienza individuale che deve scegliere il bene maggiore).

Nel XIII secolo, rimasto l’espressione massima della cristianità prima della sua divisione in varie Chiese e confessioni religiose, la cultura cristiana elaborò la filosofia scolastica specialmente con san Tommaso d’Aquino che seppe operare una sintesi rimasta ineguagliata. L’antropologia suggerita nelle opere dell’Aquinate risulta pienamente matura. La base va cercata nell’acquisizione completa del pensiero aristotelico, ottenuta superando l’interpretazione che Averroè aveva fornito circa la Metafisica di Aristotele. Si tratta di dati apparentemente astratti o poco influenti, ma in realtà risultano decisivi. Averroè, insieme con i commentatori più antichi di Aristotele, affermava che l’intelletto agente, ossia ciò che permette il passaggio dalla potenza all’atto del conoscere, è unico, è eterno ed è Dio. San Tommaso aveva bisogno di fondare l’immortalità dell’anima individuale perché ogni uomo è unico e irripetibile agli occhi di Dio e a ogni uomo è offerta la possibilità di assurgere alla condizione di Figlio di Dio per meritare la gloria eterna, se accetta di mettersi liberamente alla scuola di Dio. L’antropologia biblica forniva l’antefatto: Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza, ma quella dignità altissima andò perduta a causa del peccato dei progenitori. Quel passo della Genesi non ha avuto tra gli esegeti ebrei l’importanza assunta presso gli esegeti cristiani, che vi hanno scorto il vero e proprio dramma dell’umanità, ossia una colpa così grave da poter essere espiata solamente dal Figlio di Dio che si facesse vittima offerta a Dio Padre per ripristinare lo stato privilegiato degli uomini come amici di Dio.

Il mondo greco era rimasto profondamente intellettualistico: il male è frutto dell’ignoranza, perciò se noi potessimo mandare a scuola tutti, l’errore e il male sarebbero superati. Questo è il fondamento di tutte le ideologie umane a partire dall’Illuminismo che accusò la Chiesa di mantenere gli uomini nell’oscurantismo medievale, salvo poi ricorrere ai rimedi della ghigliottina per ottenere libertà, uguaglianza, fraternità, realtà sempre sfuggite ai regimi politici inventati a partire da allora. Al contrario, san Tommaso ha colto fino in fondo i limiti dell’intellettualismo greco, affermando che l’uomo ha bisogno della ragione e della fede, dal momento che né la ragione né la fede da sole conducono l’uomo alla sua meta. Infatti, l’uomo non pecca solamente per ignoranza, bensì a causa di una volontà corrotta che solamente per merito della fede e delle virtù teologali da essa infuse può applicare a se stessa i frutti della passione e morte di Cristo.

Il soggettivismo posto alla radice della modernità ha indotto l’uomo attuale a ritenere di essere centro del mondo. Kant riteneva che le forme pure della sensibilità (spazio e tempo) e le categorie della mente umana imponessero all’oggetto di adattarsi alla mente umana che perciò diviene legislatrice della natura. Al contrario, il modello della conoscenza umana della filosofia classica era realista; affermava che esiste il mondo fuori di me e indipendente da me, ossia non creato da me, che mediante i sensi e la memoria posso accogliere nella mia coscienza e che mediante l’intelletto, in possesso della capacità di astrazione, posso conoscere come esso è. L’intelligenza umana non è legislatrice della natura, bensì si limita a conoscere sempre meglio la natura, col dovere di non stravolgerla, di conservarla intatta per coloro che verranno dopo di noi. Ciò significa che non posso fare quel che mi pare per non commettere errori grossolani. La legge che assicura la conservazione delle cose si trova nelle cose, non nel mio arbitrio. Il mancato riconoscimento del realismo nella conoscenza e l’angelismo, tipico di chi non ammette le conseguenze del peccato originale, suggeriscono di risolvere i problemi con la rivoluzione: poiché il mondo non funziona secondo i miei criteri, io decido di rifarlo secondo un mio progetto. Nazismo, fascismo, comunismo si sono proposti la creazione di un uomo nuovo: come risultato hanno lasciato un mondo in frantumi. La disparità di diritti delle donne ha generato la rivoluzione del femminismo: tutte le rivendicazioni delle donne circa la parità ecc. sono sacrosante, ma non il femminismo che risulta un’antropologia aberrante. Per fare carriera, viene rifiutata la maternità che secondo natura è un privilegio femminile: da questo errore iniziale derivano le altre aberrazioni.

La libertà rimane il perenne problema di ogni antropologia. La libertà di una porta consiste nella possibilità di aprirsi e di chiudersi secondo le modalità permesse dai gangli della porta attaccati al muro, senza i quali non ci sarebbe alcuna porta. La libertà è fonte del merito di ogni azione: se io non sono libero, non sono nemmeno responsabile delle mie azioni. Agire senza l’adesione della mia libertà significa essere schiavo. Solamente un’azione libera risulta meritoria, dopo aver assunto il rischio che comporta un’azione liberamente voluta. Tutte le antropologie che hanno rifiutato il cristianesimo professano una libertà irresponsabile: la colpa è della società. Per il marxismo la libertà vera era solamente quella del partito che decideva per tutti. Per essere liberi occorre conoscere, ma nel mondo contemporaneo l’ignoranza è cresciuta. L’insegnamento della Chiesa è stato abolito, si deve prescindere dai suoi appelli, validi solamente per la coscienza dei minus habentes che ne hanno bisogno: la lotta contro i simboli religiosi rivela un’intolleranza antistorica, incapace di comprendere la funzione svolta dalla religione almeno nel passato. Rimangono le leggi dello Stato, ma nel vuoto prodotto dalla metafisica scacciata. Si opera per demolire l’azione della legge quando contrasta con le aspirazioni soggettive: perciò la legge non deve comandare ciò che è giusto, bensì è giusto ciò che dice la legge dopo averla manipolata secondo i nostri desideri. I partiti non si formano più proponendo grandi ideali di verità e giustizia, bensì contro qualcosa o qualcuno. La libertà dovrebbe riflettere un rapporto corretto tra intelletto e volontà: l’intelletto vede qualcosa come vero (prescindendo dai miei capricci) e indica alla volontà il dovere di conseguirlo in quanto vero e non soltanto utile o piacevole. L’esercizio della libertà è sempre stato considerato un compito arduo e difficile, perché negli uomini albergano istinti e vizi (violenza, ingiustizia, egoismo, partigianeria, odio, invidia, superficialità) devastanti se non vengono combattuti. Ma, tra noi, esiste ancora una pedagogia che suggerisca di coltivare le virtù e di combattere i vizi per formare la gente? Esistono modelli sociali da indicare come ideali dell’educazione? Sportivi, cantanti, attori sono modelli credibili? Esiste nella scuola, nella politica, nell’associazionismo, nel cinema, nel teatro, nella musica qualcosa che somigli alla proposta di un modello credibile? Il modello più diffuso è quello dei moderni mezzi di comunicazione dove ciascuno dice quel che gli pare, senza limiti di pudore o di decenza, senza preoccupazioni di logica o di metafisica, senza responsabilità, senza filtri, senza discussioni sul vero e sul falso, sulla natura della calunnia o della denigrazione, sul giusto o l’ingiusto. La politica è davvero parte potenziale dell’etica alla quale occorre dedicarsi in vista del bene comune, oppure è la necessità di varie lobby che si propongono di orientare la spesa pubblica in direzione favorevole ai propri sostenitori?

Una delle acquisizioni più importanti avvenuta nella storia della filosofia è il concetto di persona, definita da Boezio “sostanza individuale di natura razionale”. Sostanza individuale significa limite della conoscenza: si può avere conoscenza di ciò che è universale, mentre l’individuo risulta ineffabile. Ogni uomo è mistero. Perciò occorre sempre un profondo rispetto per la coscienza individuale, un sacrario nel quale si entra solamente col consenso della persona. Ogni uomo è il modo unico e irripetibile in cui si realizza una certa somiglianza con Dio. La persona non può essere aggredita o tradita o corrotta. La razionalità della persona la obbliga a stabilire un corretto rapporto col reale; a rendere certa la sua conoscenza attraverso lo studio e l’assunzione di responsabilità. La persona ha il dovere di acquisire le virtù personali e civiche che rendano possibile un rapporto maturo con l’ambiente, mediante la conoscenza del bene e del male, con l’assunzione di responsabilità famigliari e sociali, col dovere di interrogarsi sulla verità religiosa per stabilire relazioni valide con tutta la realtà, non solamente quella gradita o giudicata utile per fare carriera, con responsabilità verso tutti gli uomini, quelli del passato e quelli del futuro. A volte si ha l’impressione che accanto a noi ci siano marionette operanti in funzione della sequenza stimolo-risposta, come suggerisce la psicanalisi freudiana, che vede nella nevrosi la mancata soddisfazione di uno stimolo, non persone che sappiano lottare contro tutte le avversità pur di raggiungere l’obiettivo che si erano razionalmente prospettate.

I medievali dicevano motus in fine velocior, ossia quando un processo si avvia al suo termine il movimento diviene più turbinoso. Fin dal 1964, Marshall McLuhan aveva previsto la situazione del villaggio globale, l’unificazione del mondo con i mezzi di comunicazione attuali, quando il messaggio si identifica col mezzo che funge da veicolo, in grado di sopraffare le coscienze per non far cogliere la natura profonda del messaggio. Siamo alla verifica di quanto Heidegger aveva enunciato fin dal 1927 con Essere e tempo: all’umanità viene imposto di vivere una vita inautentica, perché la verità è troppo amara e nessuno aspira a conoscerla. Diventa perciò necessario evitare il silenzio, la riflessione, la meditazione sugli interrogativi perenni dell’essere: chi sono, da dove vengo, dove vado. A questo fine l’umanità viene inondata da una marea di chiacchiere, il modo più brillante per far passare il tempo senza dire nulla di serio: radio, TV, giornali, settimanali, riviste inondano il mondo di chiacchiere che non costruiscono nulla, ma tengono occupati numerosi creatori e consumatori di chiacchiere. Tuttavia la chiacchiera si può spendere con gusto per tutti solamente se è nuova, non ancora detta: solamente quando è frutto di curiosità, la chiacchiera si impone all’attenzione generale. Gli eterni veri della metafisica tradizionale non hanno il vantaggio della cosa nuova, inedita, in grado di risvegliare l’interesse di tutti e perciò vengono obliati: le cose urgenti hanno scacciato quelle vere. Al massimo, il vero si può nascondere in un’opera che non ne mostri immediatamente la natura profonda, come è avvenuto per Il signore degli anelli, l’epopea di Tolkien subito subissato da emuli ben presto tornati alla chiacchiera. Peraltro, l’esito necessario di chiacchiera e curiosità è l’equivoco, ossia le parole che non significano più nulla, perché ciascuno parla per sé, incurante degli altri, attento all’imbonitore individuale presente nel minuscolo auricolare inserito nell’orecchio e sintonizzato con la fonte più gradita.

Riassumendo, l’antropologia cristiana, fino all’epoca della cristianità infranta dalla rivoluzione protestante, era stata assunta come anima della società occidentale. Dopo la riforma, rimase latente fino alla cultura dell’Illuminismo, avendo la possibilità di estendersi all’America. Nella sua essenza, l’Illuminismo fu un movimento antitradizionalista, non antistoricista, anzi riteneva di trovare nel divenire storico la sua conferma: il futuro si presentava radioso. L’ultima opera di Kant si intitola Per la pace perpetua, senza rendersi conto che pace perpetua è solamente quella dopo la morte. L’Illuminismo è sboccato nella rivoluzione francese che consacrò il trionfo della borghesia. Perciò la rivoluzione bolscevica si proponeva come la rivoluzione definitiva che si aveva come obiettivo di distruggere lo Stato e le classi borghesi, ma ottenne solamente di rafforzare l’apparato oppressivo dello Stato e di creare la nuova classe degli iscritti al partito comunista. L’URSS è crollata per implosione e nel mondo si sono scatenati i venti dell’anarchia più totale, la dittatura del relativismo e del pensiero debole che si limita a trovare giustificazioni ai comportamenti più anarchici, in luogo di esaminare il problema della verità. È avvenuto il rovesciamento di tutti i valori a favore del soggettivismo più esasperato. Unica preoccupazione dei governi è ora la tassazione e l’andamento dell’economia, tutto il resto si può trascurare (Ugo La Malfa, appena terminato il referendum sul divorzio disse: “Ora occupiamoci di cose serie”).

Alcuni ritengono la nostra situazione simile a quella del basso impero, quando i barbari biondi passavano il confine e i signori ordinavano al servo di portare l’ultima bottiglia di vino vecchio prima della fine. Ma quei barbari, nel corso di alcuni secoli, furono integrati e i valori di cui erano portatori si fusero con quelli classici e cristiani. L’incognita attuale è che i nuovi barbari non intendono aver a che fare né con la tradizione cristiana né col relativismo etico della società laicizzata, mirando a soverchiare col loro numero gli europei. Che fare?

 

 

Il prof. Alberto Torresani ha compiuto gli studi medi e liceali a Bologna e si è laureato in Lettere moderne a Catania, ha insegnato  storia e filosofia nei licei statali dal 1968 al 1980 a Verona e presso il Centro Scolastico Argonne di Milano dal 1981 al 2000.  Attualmente è incaricato di Storia della Chiesa presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apollinare della Università Pontificia della Santa Croce di Roma e  collabora abitualmente con le riviste “Studi Cattolici”, “il Timone” e “Nova Historica”.
Ha pubblicato:

  • I nodi della storia, 3 voll., ed. Dante Alighieri, Roma 1991
  • Storia antica, 2 voll., ed. Dante Alighieri, Roma 1994 (in collaborazione con Erminio Riboldi)
  • Breve storia della Chiesa, ed. ARES, Milano 1992.
  • Storia della Chiesa, ed. Ares, Milano, terza edizione 2011.

Sul sito www.totustuus.it si possono trovare i capitoli aggiornati dei Nodi della storia secondo la partizione introdotta per i licei nel 1996.
Sul sito www.confrancesco.it compaiono i testi delle lezioni di Storia della Chiesa tenute all’Apollinare di Roma.